A livello personale una figura che mi ha dato tantissimo. E che ha lasciato un vuoto incolmabile. Una persona pronta a darti sempre una pacca sulla spalla anche quando le cose andavano male.
Ma non era il tipo che si prendeva la briga di darti consigli, non aveva questa vena da artista famoso. Le cose me le mostrava e io le rubavo con gli occhi. E’ stata una figura paterna che ha indirizzato la mia vita. Un generoso, mai soffocante ed autoritario. Mi diceva sempre: “sei il mio terzo figlio”. Ero scapestrato e ribelle, e questo a lui piaceva molto.
Con Alberto CameriniEra un’estate particolare. Volevo lavorare, ancora non l’avevo mai fatto. Per tre giorni, prima che mi mandassero via, ho fatto l’aiuto bagnino in uno stabilimento di Alba Adriatica dove l’ho incontrato per la prima volta. Ero un ragazzino riservato e timido. Lui se ne stava lì con la sigaretta, il cappello di paglia e gli occhiali rossi. E ha cominciato a darmi fastidio, invitandomi a pulire meglio la spiaggia. E io, mentre lo facevo, canticchiavo le sue canzoni finché a un certo punto mi dice: “mi hai stufato, i miei pezzi li conosco”. Poi si è scusato e mi ha offerto un tè.
All’età di 4 anni mi portarono a un suo concerto. Fu il primo della mia vita. Com’è finito quel primo incontro sulla spiaggia? Abbiamo parlato a lungo. E ho scoperto che conosceva mia madre. Infatti mi chiese di rivederla quella sera stessa a casa nostra. Ovviamente non credevo venisse davvero. Finché non ho visto la sua Mercedes arrivare sotto casa e lui scendere con una torta al limone. Quella sera ha voluto ascoltare una mia canzone. Cantai “L’amore delle piccole cose”. Restò affascinato. E ne suonai altre.
E’ sparito per sei mesi. Possedevo il suo numero, ma non l’avevo mai chiamato. Poi un giorno mi cercò e passò a prendermi. Siamo andati a una reunion della band dove suonava da piccolo, e mi ha presentato come il ragazzo che avrebbe aperto i suoi concerti. Gli dissi che era pazzo, che avevo solo 15 anni. Rispose che avrebbe deciso lui per me. E così siamo partiti in tournée insieme.
Suonavo e cantavo pezzi miei, tra merendine e lattine che arrivavano sul palco. Da nord a sud mi dicevano: “zingaro scendi del palco, vogliamo Ivan”. La tournée è durata un anno e ogni sera prendevo insulti. Ivan mi ha dato la possibilità di girare moltissime piazze e nello stesso tempo coltivare il mio studio al liceo artistico. Di lì in poi ho ricevuto supporto musicale. Stava producendo un mio lavoro che abbiamo registrato nel suo studio. Abbiamo fatto anche alcuni pezzi insieme. Il disco però non è mai uscito perché poi la sua malattia si è aggravata. E il 1 gennaio ’97 se n’è andato.
Anni di black out. Non volevo più suonare. Mi ero trasferito a Roma ed avevo appeso le chitarre al muro. Poi un giorno dopo due anni – nel ’99 – Maurizio Montanesi, storico fonico che ha lavorato con Ivan per tanti anni, ha fatto incursione a casa mia. Mi ha preso a schiaffi dicendomi che avrei dovuto fare quello che mi aveva detto prima della sua morte. E mi ha consegnato una lettera che Ivan aveva scritto per me. Così ho ripreso a scrivere canzoni e fare tour. Ho lavorato tre anni con Alberto Camerini, e dal 2002 al 2014 ho fatto parte della band di Little Tony. Ho pubblicato due album e sto lavorando ad un terzo.
Ho sofferto molto di attacchi di panico e ansia. Ma oggi, a 41 anni, la ritengo una cosa positiva. Dico sempre che si cura con i colori e la cioccolata. Io l’ho esorcizzata così, mettendola in musica. Poi grazie a Maurizio Montanesi è uscito un singolo trasmesso sulle più importanti radio nazionali, che ha fatto parte del mio primo album “India Londinese”. 14 mila copie vendute.
Dandy sono io. Un personaggio che si barcamena in una società vuota, finta. Il dandismo per me è vivere il presente. Un inno alla bella vita, non intesa in modo superficiale ma basata sulla creatività. Oggi invece si vive di noia, dentro i social network. Nessuno legge più, nessuno strimpella uno strumento.
Seguo i movimenti artistici e culturali dei primi del 900. La patafisica, il surrealismo, il futurismo, il dadaismo. Mi piace farmi influenzare da queste cose qui. Cerco sempre di dare quel tocco cinematografico alla mia scrittura, attraverso la narrazione e le metafore. Parlo della mia vita e di quella delle persone che mi circondano. Nulla è inventato.
Dico sempre che ho avuto la fortuna di entrare nell’ultima fascia buona del cantautorato italiano. Io amo chi ha qualcosa da dire. Ma oggi è il contrario, sei famoso già alla seconda apparizione, ma non dici nulla. Chi ha dato al pubblico una parte di sé che non esiste, ha perso. Io ho preferito basare la mia carriera sulla coerenza e non sul successo. Ho detto più no che si. Ho scelto. E non ho rimpianti.